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IL MAGO, L’ALCHIMISTA, IL CAVALIERE E LA ROSA

Lettura mito-simbolica delle fiabe iniziatiche di Claudio Lanzi


Qualche settimana fa ho avuto l’onore e il piacere d’incontrare Claudio Lanzi presso il Simmetria Institute nella Fondazione Lanzi per presentare insieme a lui il suo nuovo libro, intitolato Il Mago, l’Alchimista, il Cavaliere e la Rosa.
L’evento era stato annunciato con la promessa d’indagare il mondo della fiaba anche attraverso le caleidoscopiche “lenti” di Joseph Campbell, autore del saggio sul mito intitolato L’eroe dai mille volti, e facendo riferimento anche alle notissime funzioni di Propp. Ma chi conosce Claudio come lo conosce chi era presente alla conferenza, sa già che la chiacchierata è approdata a ben altri lidi, che potranno essere “esplorati” sia guardando il video (vi segnalerò il link appena disponibile), sia leggendo il libro, che per volontà dell’autore è stato presentato e quasi contestualmente ritirato dal mercato librario, perché certi libri sono per pochi.
Con questo articolo vorrei quindi adempiere, almeno in parte, a quella prima promessa di analisi in chiave mitologica dell’opera di Lanzi, per poi concludere con qualche accenno alla valenza davvero magica del testo.


Joseph Campbell: un eroe cosmico

Secondo Campbell, saggista statunitense e storico delle religioni di fama mondiale, l’eroe è colui che volontariamente si sottomette a quella dimensione spirituale che gli consente di riprendere l’opera della creazione; laddove “sottomissione” equivale a “distacco” e “trasfigurazione”. Il distacco è l’integrale trasferimento dell’interesse dal macrocosmo al microcosmo, dal mondo esterno all’eterno regno di pace ch’è in noi, e che secondo l’autore è l’inconscio infantile: se sapessimo riportare in superficie anche solo una parte di quelle energie psichiche sopite, afferma Campbell, la vita ne sarebbe istantaneamente rinnovata e l’eroe ne risulterebbe trasfigurato.

Il primo passo dell’eroe è quindi abbandonare il mondo fenomenico, per dirla con Kant, e ritirarsi nel regno della Psiche, dove dovrà affrontare tutte le difficoltà possibili e immaginabili. Solo dopo aver coronato questa fase, l’eroe potrà far esperienza diretta di quelle che Jung definisce “immagini archetipe”, che ricorrono sempre uguali a sé stesse in tutte le culture e che hanno ispirato sia i rituali sociali che creano un collegamento tra il micro e il macrocosmo, sia le mitologie collettive, sia perfino le visioni individuali. Infatti, il sogno è la versione individuale del mito e il mito è la versione collettiva del sogno, essendo figli della psiche, sono entrambi simbolici, con la sola differenza che nel sogno le immagini cambiano da individuo a individuo, mentre il mito propone problemi e soluzioni validi per tutto il genere umano.[1]
Queste immagini per altro, non appartengono all’attuale società in disintegrazione, ma sgorgano dall’inestinguibile sorgente che rigenera la società,[2] perciò, dopo aver superato le proprie limitazioni personali e ambientali e aver esperito la potenza rigenerativa degli archetipi, il secondo compito dell’eroe è quello di tornare trasfigurato alla società da cui si era esiliato e svelare il mistero del rinnovamento della vita.

Ma mentre l’eroe delle favole (sic... “fiabe” sarebbe il termine corretto, ma qui non ci dilunghiamo sulle distinzioni) svolge la sua missione a livello microcosmico, l’eroe del mito trionfa nel macrocosmo e dalla propria avventura ricava il mezzo per la rigenerazione di tutta la società. Il suo viaggio è quindi necessario non per ottenere o per scoprire qualcosa, ma per riottenere i poteri divini e riscoprire che erano già insiti in lui: egli è infatti il “figlio di Dio”, ma capirà cosa significa essere tale solo durante il viaggio. Secondo Campbell quindi, l’eroe è il simbolo di quella divina immagine creatrice e redentrice celata in tutti noi, che attende solo d’essere riconosciuta e portata alla luce. L’eroe e il suo dio - colui che cerca e colui che è trovato - sono dunque il volto esterno e quello interiore di un unico mistero, e la grande conquista dell’eroe è l’aver colto l’unità nella molteplicità.

Lette da questa prospettiva, quindi, quelle di Claudio Lanzi più che fiabe sono miti, perché il loro contenuto è universale e perché i vari protagonisti, anche quando sembra che trionfino “solo” su sé stessi, in realtà stanno contribuendo a rigenerare la società.


Dalla mitologia alla meditazione

Nell’epilogo della sua opera, Campbell spiega che non esiste, né può esistere, un sistema definitivo per l’interpretazione dei miti, perché la mitologia è come Proteo, “l’antico dio del mare, la cui parola è presagio: lo vedrete mutare parvenza […] e cangiarsi in acqua e in rutilo fuoco”,[3] e quando infine questo dio astuto si presenterà al viaggiatore nella sua vera forma, comunque non svelerà mai l’intero contenuto della sua saggezza: risponderà solo alla domanda rivoltagli. Oggi, prosegue lo storico delle religioni, la mitologia è interpretata in molti modi: come un primitivo e maldestro tentativo di spiegare la natura (Frazer); come un frutto della fantasia preistorica, frainteso dalle epoche successive, più razionaliste (Muller); come un corpus d’insegnamenti allegorici miranti a uniformare l’individuo al gruppo (Durkheim); come un sogno collettivo (Jung); come il veicolo tradizionale delle intuizioni metafisiche dell’uomo (Coomaraswamy); e infine come la Rivelazione di Dio (Chiesa Cattolica).

E la mitologia è tutto ciò, a seconda di chi e come la osservi. Si capisce allora perché Campbell affermi l’impossibilità di creare un sistema di riferimento definitivo che dia ragione di ogni mito e mitologema esistente al mondo; ma per gli scopi di questa breve esposizione ci basterà dire che l’esilio sembra essere sempre il primo passo della ricerca: qualsiasi cosa cerchi l’eroe, la sua ricerca può iniziare in qualsiasi luogo e momento, poiché in sé ha già tutto; ciò significa anche che chiunque può essere l’eroe, a patto che abbracci questo auto-esilio, che, solo, gli consentirà di attingere alla celata fonte interiore. 

Le fiabe scritte e rielaborate da Claudio Lanzi per più di mezzo secolo vogliono suggerire proprio questo, soprattutto le aforistiche narrazioni raccolto nell'Epilogo Zen, che invitano a riflettere su vari temi, primo tra tutti proprio la necessità di fare silenzio e chiarezza dentro di sé prima di avventurarsi in qualsivoglia sfida.

A tal fine, e riprendendo Campbell, “l’ascetismo dei santi del Medioevo e degli yogi indiani, i misteri ellenistici, le antiche filosofie orientali e occidentali sono tecniche per spostare l’attenzione dell’individuo dalla sua veste esterna verso l’interno. Le meditazioni staccano la mente e i sentimenti dalle circostanze esterne della vita e guidano il praticante verso la sua parte più intima”. Da simili esercizi nessuno torna uguale a com’era partito, ma la contemplazione non è la meta: è un passo necessario per raggiungere il traguardo, che è la comprensione di cosa sono l’Uomo e il Mondo. Una volta scoperto e compreso che l’Uomo e il Mondo sono una cosa sola, l’esilio dal mondo non è più necessario, né possibile, per altro, perché, dovunque l’eroe si rechi e qualunque cosa faccia, è sempre in presenza della propria Essenza: ora i suoi occhi sono in grado di vedere che non vi è più separazione, perché non c’era mai stata davvero.

Le fiabe raccolte in quest’antologia esoterica hanno la stessa funzione della meditazione a cui accenna Campbell, e talune contengono o addirittura sono quasi delle trascrizioni di un certo tipo di meditazione; determinate esperienze ivi descritte potrebbero “cogliere di sorpresa” il meditante ansioso di arrivare, ma non ancora partito, e per questo vanno lette cum grano salis.


Fiabe moderne per anime antiche

Sulle note dello Zarathustra di Nietzsche, che afferma che “gli dei sono tutti morti”,[4] Campbell lamenta che la società attuale è stata svuotata di ogni contenuto religioso,[5] e si è trasformata in un’organizzazione politico-economica che lotta spietatamente per la supremazia materiale. Non esistono più società che guardino a un “orizzonte mitologicamente carico”: le ultime vestigia degli antichi rituali sono in piena decadenza. Secondo l’autore, e anche secondo Claudio Lanzi, che ha trattato spesso questo tema, il problema odierno del genere umano è che né il mondo né il gruppo hanno più alcun significato: tutto il “senso” si è concentrato nell’individuo, ma si è nascosto nell’inconscio, per cui l’umanità non sa più da cosa è messa in moto, né verso cosa si muove.

Ma le fiabe ce lo dicono: per esempio I Pensierini, Il Campanaro e La donna che cercava il suo cuore, che sono state ricordate e commentate durante la conferenza, mettono in scena personaggi mossi inizialmente solo dal proprio Ego, mentale o psichico che sia. Nel primo caso l’elemento “pacificatore” della globale e spasmodica ricerca di senso è la Musica, che si manifesta attraverso uno strumento molto particolare; una musica simile, ma diversa, fa da Leitmotiv anche per la seconda fiaba, Il Campanaro, ma in questo caso la svolta avviene grazie all’incontro con un Maestro (o una Strega), mentre nella terza fiaba la risoluzione arriva dall’interno, giacché, proprio come si legge nei Veda, “la verità è una, ma i saggi la chiamano con molti nomi”.

Come ricorda ancora Campbell, “la comunicazione tra le zone consce e inconsce della psiche è stata interrotta e noi siamo stati divisi [almeno] in due; le grandi religioni del mondo, per come sono attualmente praticate, non permettono più di ritrovare l’Unità originaria, essendosi ridotte a meri strumenti di propaganda e auto-compiacimento. “Gli antichi misteri hanno ormai perduto il loro potere. […] La discesa delle scienze occidentali dal cielo alla terra (dall’astronomia del XVII secolo alla biologia del XIX secolo) e la loro concentrazione sull’uomo (l’antropologia e la psicologia del XX secolo) segnano lo spostamento del focus della meraviglia umana” dal mondo minerale, vegetale e animale a un’antroposfera sempre più isolata e orfana della sua controparte divina.
Per questo, prosegue Campbell, la missione dell’eroe moderno è quella di aiutare uomini e donne a raggiungere la completa maturità umana nelle condizioni della vita moderna. L’eroe dei tempi attuali “non può né deve aspettare che la sua comunità si liberi dall’orgoglio, dalla paura, dall’avarizia e dall’incomprensione. […] Non è la società che deve guidare e salvare l’eroe, ma il contrario: ognuno di noi", conclude il saggista, "partecipa alla prova suprema - porta la croce del redentore - non nei momenti gloriosi delle grandi vittorie della sua tribù, ma nei silenzi della sua disperazione.

E proprio nella disperazione sono nate molte delle fiabe di Claudio Lanzi, che nelle edizioni precedenti aveva preferito attribuire le narrazioni ermetiche a un non meglio identificato Al Cudi Oz Nahali, che è quasi un anagramma del suo nome. Qui per disperazione s’intende proprio quello sconforto che si prova nel constatare che tutte le strutture cultuali, rituali e spirituali, che hanno finora sorretto questo sfortunato yuga, si stanno sgretolando sotto il peso delle sovrastrutture introdotte nella società dagli studiosi più oscurantisti mai esistiti: gli Illuministi del 1700. Claudio Lanzi, infatti, nel definirsi un “ingegnere pentito” allude a tutto il vuoto portato da una scienza che ha preteso di “illuminare” il mondo con la propria conoscenza, ignara però che certe essenze hanno bisogno dell’ombra (e dell’Ombra) o addirittura del Buio per manifestarsi.


La storia di Sepses e Sira ne è un esempio: come ricorda Lanzi nella Prefazione redatta per questa ultima e definitiva edizione, questa fiaba è strategicamente ingenua, propria delle ormai impraticabili Vie binomiali: Sepses è un saggio che, ormai prossimo al termine del suo percorso terreno, soffre per aver trascurato le magiche virtù della luna; Sira è una giovane donna al principio del cammino iniziatico, ma simboleggia anche il risveglio dell’energia spirituale di Sepses. Per un breve ma intenso periodo il destino la sottopone a tutte le prove più impegnative e dolorose, grazie alle quali Sira può purgare i metalli grezzi e lavare la pietra col fuoco e, una volta acquisita ogni capacità discriminante, diventa il complemento terreno e celeste di Sepses.


La cittadella ermetica

Come accennavo sopra, in questa sede non ci soffermiamo sulla distinzione tra favola, fiaba popolare, fiaba d’autore e racconto iniziatico, perché l’Autore passa da un genere all’altro, rendendo le definizioni pressoché inutili, come d’altra parte riesce a fare con tutto quanto è accademico, pur essendo un accademico egli stesso. Rileggendo le narrazioni per preparare la conferenza, ho notato che nella Prefazione Claudio Lanzi si è definito “vecchio imprudente”, forse per giustificare il fatto di presentarsi finalmente e al contempo sia come il vero Autore dei testi (abbandonando il velo dello pseudonimo), sia come disegnatore, mentre nella mia Introduzione alla lettura la sottoscritta l’aveva definito un “autentico cantastorie”, perché come tutti i veri cantastorie, sa ridare vita a ogni racconto variandone ogni volta i dettagli, ma restando fedele al suo senso ultimo e più profondo.

Durante la preparazione di quest’ultima edizione, Claudio Lanzi e la sottoscritta (in qualità di editor) ci siamo a lungo confrontati sui temi da approfondire, e l’apparato delle note nasce proprio dalle mie curiosità e dalla benevola disponibilità dell’Autore a soddisfare molte delle mie domande, alcune delle quali gli sono state riproposte durante la conferenza. Nella prefazione l’Autore sottolinea che ogni cambio di scena rappresenta un cambio dello stato di coscienza, sia del protagonista che del lettore”, la raccolta si configura quindi come utile supporto per il lettore che voglia indagare la propria anima senza sapere ancora quale via iniziatica intraprendere.
Infatti,
le ambientazioni in cui si muovono i personaggi sono le più varie e spaziano da oriente a occidente, ad esemplificare il summenzionato passo dei Veda: “la verità è una, ma i saggi la chiamano con molti nomi”. Queste fiabe possono essere lette quindi sia per semplice svago, sia come strumento “iniziatico” nel vero senso della parola: esse infatti “iniziano” il lettore, cioè lo introducono in un mondo altro, dove spazio e tempo sono Concetti diversi dai fenomeni sperimentabili normalmente.

Gli splendidi disegni costituiscono poi una narrazione a sé: talvolta si limitano a “mostrare” quanto avviene in un determinato passo di un testo, (ma chi è stato a Bomarzo, dove l’Autore è di casa, sa quanti misteri possano celare i “mostri”); talaltra completano il testo, “illustrando” ciò che non può essere espresso verbalmente. Immagini e parole formano una vera e propria cittadella ermetica, orientata secondo un cardo, costituito dall’asse Mago-Rosa, e un decumano, che collega il Cavaliere all’Alchimista eponimi. Questi due assi ordinano il cosmo iconografico-letterario che è questa antologia, e attorno ad essi si organizzano le tematiche di volta in volta messe in scena.

E la conferenza è stata impreziosita proprio dalla messa in scena di tre fiabe, recitate e interpretate da Stefano Lionetto che ha letteralmente vestito i panni dei personaggi dell’Epilogo Zen, ha prestato la propria voce agli effimeri protagonisti de I Pensierini  e ci ha portati nel regno senza tempo di Az-N’Uhr in Conversazioni con l’Angelo.



Non mi resta che augurare buona lettura ai manzoniani “venticinque lettori” che troveranno ancora copie disponibili qui è https://simmetriainstitute.shop/home/193-il-mago-l-alchimista-il-cavaliere-e-la-rosa.html.



[1] “Nel sonno e nei sogni ripercorriamo il cammino del pensiero umano. […] Nel sogno l’uomo moderno ragiona come ragionava da sveglio migliaia di anni fa... Il sogno ci riconduce a stadi precedenti della cultura umana, permettendoci di comprenderla meglio”. Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano.

[2] “Il simbolismo non è una caratteristica speciale dei sogni, ma piuttosto dell’immaginazione inconscia, e lo si può trovare assai più sviluppato nel folklore, nei miti, nelle leggende e nei motti di spirito di una persona che non nei sogni”. Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni.

[3] Omero, Odissea, IV, 401, 417-418, Zanichelli, 1937 e in seguito IV, 400-406.

[4] Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1. 22. 3.

[5] E la prima edizione risale al 1949! Chissà cosa direbbe adesso.

Stritolata