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Roy Doliner & Benjamin Blech, I segreti della Sistina

Ha ragione l’ottimo Augias, quando nella Prefazione di questo eccezionale saggio artistico / indagine cabalistica / ricerca talmudica, dice di non voler anticipare troppo delle scoperte a cui i due autori sono giunti. Allora come redigere una nota di lettura svelando qualcosa, ma senza togliere il gusto di una futura, eventuale, lettura completa?

Iniziamo col ricordare che Michelangelo, nelle parole di suo padre, Ludovico, “secondo il calendario fiorentino, che conta dall’Incarnazione, nasce il 6 Marzo 1474, e secondo il calendario romano, che conta dalla Natività, è il 1475”.

Fin dalla nascita, la vita del grande artista è segnata dal binomio Firenze/Roma: non solo due città letteralmente “capitali” d’Italia, ma simbolicamente le patrie di due filosofie e due stili di vita totalmente opposti; lo scopo evolutivo di Michelangelo, durante tutta la sua esistenza, sarà proprio quello di riunire in un mistico ponte arcobaleno queste due città fiorite in riva a due fiumi. Ricordiamo quest’immagine del ponte e arcobaleno., perché riapparirà in seguito.

Solo qualche brevissimo cenno sull’educazione umanistica del Nostro, il cui nome, nel Medioevo e nel Rinascimento, era ancora assegnato nei casi in cui c’era stato pericolo per il neonato o per la madre al momento del parto. Ma quel nome richiama anche Mikha-el ha-Malakh, l’angelo difensore del popolo ebraico. E nessun altro nome avrebbe potuto “marchiare” e “manifestare” più pienamente il destino di Michelangelo.

Presso la corte dei Medici, infatti, il fanciullo riceve un’educazione totalmente fuori dai normali circuiti culturali dell’epoca: viene edotto in ebraico, cabala, Talmud e midrash da alcuni dei più valenti personaggi che arricchivano della loro presenza la corte di Cosimo de’ Medici e in seguito di Lorenzo il Magnifico; suoi insegnanti furono infatti Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, il Ghirlandaio e Leon Battista Alberti.

Lo spirito di tolleranza e di fratellanza universale, che permette a Firenze di accogliere anche gli ebrei non come cittadini di seconda e terza classe, ma come più o meno onorati ma certamente ricercati (in senso buono) professionisti, non fa semplicemente breccia nel cuore e nella mente di Michelangelo: vi trova letteralmente la propria antica dimora, quasi come se l’artista avesse coscienza, o quanto meno incerti e vieppiù nitidi ricordi delle vite precedenti. Egli apprende con estrema facilità la lingua e i costumi giudaici e per tutta la vita cerca di far comprendere, attraverso la sua Opera, che tutti siamo Uno, e che la redenzione dell’anima può avvenire solo tramite l’Amore e la Bellezza, che per inciso, sono anche i nomi di due Sefirot: Tiferet la Bellezza e Hesed l’Amore.

Insomma, il genio fiorentino era in contatto con le potenze che secondo il misticismo ebraico hanno creato l’intero universo, e le sue opere lo dimostrano. Inutile però descrivere ogni singolo dettaglio. Offrirò qui solo brevi accenni ai “segreti” che in ogni capitolo del saggio mi hanno maggiormente affascinata e, per dirlo con Paolo e Francesca, li occhi mi sospinsero innanzi...

La Madonna della Scala

Perché cinque gradini? Perché cinque, secondo la cabala, sono i livelli dell’anima umana: nefesh, ruach, neshamà, chayà, yechidà, che corrispondono all’energia vitale, al corpo emotivo, all’anima (o corpo causale), allo spirito e all’anima unificatrice o trascendete che unisce l’uomo a Dio (Atman). “Il Talmud insegna che il carattere e la spiritualità di re Davide gli furono infusi col latte materno, e lo stesso Michelangelo disse una volta che la sua straordinaria abilità nel modellare il marmo era un dono che aveva ricevuto col latte della sua balia. Michelangelo sta suggerendo dunque che la Madonna, allattando, preveda come il destino di suo figlio sia quello di trascendere i cinque stadi dell’anima umana e ricongiungere l’uomo a Dio. Nella mitologia greco-romana vi sono per altro altri interessanti cenni a come sia proprio il nutrimento a trasformare il destino di un personaggio. Un esempio per tutti: Eracle e Ificle sono entrambi figli di Alcmena, ma mentre il primo è stato concepito con l’olimpio Zeus, il secondo è figlio del terrestrissimo Anfitrione, sposo di Alcmena. La semi-divinità di Ercole però, per non andare persa, va in qualche modo “rafforzata”, e per questo Zeus fa allattare il piccolo con l’inganno dalla divina Era, il cui latte rende invincibile l’eroe. 

Crocifisso, chiesa di Santo Spirito, Firenze

Significativo che Michelangelo abbia scolpito con cura e precisione non solo la parte anteriore dell’Appeso divino, ma anche quella posteriore, quasi a suggerire l’idea che “l’essenziale, pur essendo invisibile agli occhi”, c’è, e il creatore (in questo caso il microcosmico scultore) ne è cosciente proprio perché ha creato sia ciò che si vede che ciò che non si vede.

L’attenzione dell’artista giunge fino a scolpire anche i peli del torace e delle ascelle del Cristo. Pare abbia addirittura crocefisso un cadavere spirato di fresco per vedere come i muscoli si sarebbero disposti attorno ai chiodi! Pratiche che a noi moderni paiono strane e macabre, ma all’epoca non pochi pittori e scultori si trasformavano nottetempo in tombaroli e ladri di cadaveri, o pagavano qualcuno che lo facesse per loro, per vivisezionare i cadaveri dei criminali uccisi in giornata e studiarne l’anatomia. E molti erano amici dei medici, che avevano tra gli Ebrei i loro esponenti migliori, al punto che persino papi antisemiti come Giulio II avevano tra i chirurghi di corte vari anatomisti giudei.

Interessante scoprire che sul crocifisso il Nostro non riporta il classico INRI, ma l’intero titulus crucis in tre lingue: latino, greco ed ebraico. La frase ebraica, ovviamente, è scritta da destra a sinistra, ed è seguita dalle altre due iscrizioni a rovescio, ma non dice, come ci si aspetterebbe, “re dei Giudei”, bensì “re dai Giudei”: Michelangelo corregge infatti il sintagma melech-ha-Yehudim in melech-me-Yehudim, ad indicare che “il Gesù adorato dalla Chiesa era ebreo e proveniva dal popolo ebraico e dalla sua fede”.

Magari questo concetto adesso può sembrare scontato, ma per arrivare a formularlo (e mettendo tra parentesi la tragedia nazista) ci è voluto il Concilio Vaticano II e il definitivo abbandono, da parte della Chiesa, dell’idea degli ebrei “deicidi”, con relativa proclamazione che in realtà essi sono nostri “fratelli maggiori”. Michelangelo non solo lo scrive sul crocefisso, ma lo dipinge in tutta la Cappella Sisitina. Con cinquecento anni di anticipo, e a rischio di finire appeso pure lui, o arso vivo come Giorndano Bruno.

Passiamo ora a un paio di temi un po’ scabrosi. Dell’omosessualità dell’artista nessuno ormai fa più mistero, né ci si scandalizza oggigiorno per le tendenze “strane” degli artisti in generale. D’altra parte, ai geni ribelli si è sempre perdonato un po’ tutto, forse proprio perché, ponendosi volontariamente fuori dalla “normalità” civile, tanto preziosa per la società borghese, non fanno così tanta paura.

Le cose sono cambiate nel XX secolo quando invece “i diversi” hanno voluto manifestare la propria essenza all’interno della società civile ed essere da questa accettati. E in questi nostri assurdi tempi “woke” siamo giunti quasi al rovesciamento di questo fenomeno, per cui “per rispetto della diversità altrui”, una normalissima madre e un normalissimo padre adesso si trovano a dover firmare le pagelle dei figli sotto i riquadri dedicati al “genitore 1” e “genitore 2”… Mi chiedo quand’è che si tornerà a guardare il corpo umano come tempio dello spirito, e la sessualità tornerà alla sua primigenia funzione di elevazione dell’uomo alla sua parte più divina, a prescindere dal sesso fisico delle due anime che s’incontrano nello specchio degli occhi?.

Michelangelo pareva vivere già quella situazione “edenica” e perciò le sue “allusioni” (tutt’altro che velate) alla pansessualità sacra invadono letteralmente tutta la cappella (mi si scusi il pruriginoso bisticcio di parole). Un esempio? Gli autori fanno notare, quasi ridendo sotto i baffi, l’allineamento della bocca di Eva coi genitali di Adamo nel pannello della Tentazione. Se la testa di Eva fosse girata di 180°, spiegano, la scena sarebbe decisamente “vietata ai minori”.

Ma con quell’immagine Michelangelo voleva mostrare proprio la purezza dei progenitori, e con ciò la totale, radicale e assoluta inesistenza del peccato originale. Aggiungiamo poi che, secondo un’interpretazione del Midrash, Dio non pone mai l’uomo in difficoltà senza offrirgli il rimedio, proprio perché scopo di Dio non è tentare l’uomo, ma disseminargli il cammino di “momenti di apprendimento”, che purtroppo, in questo sistema solare, pare non possano prescindere dal dolore. E così ecco “la caduta”, e la susseguente vergogna. Ma ecco che il buon Dio viene in aiuto alle sue creature, offrendo loro, dallo stesso albero da cui hanno colto il frutto della supposta colpa, anche qualcosa per coprirsi: le foglie di fico.

Già perché non di un melo si trattava, ma di un fico. E se ora questa interpretazione è un po’ più conosciuta (forse in Italia soprattutto grazie all’immensa opera divulgativa di Mauro Biglino), nel 14oo era nota solo a chi aveva dimestichezza con la letteratura ebraica, che il Buonarroti aveva appreso da Ficino e Pico. 

Non solo nella volta, ma anche nel Giudizio Universale il nudo regna sovrano, tanto che Giovanni Paolo II nell’omelia pronunciata nella Pasqua del 1994 poté affermare che “l’opera è pervasa da un’unica luce e da un’unica logica artistica: la luce e la logica della fede che la Chiesa proclama, confessando Credo in un solo Dio... creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose, visibili e invisibili. Sulla base di questa logica, nell’ambito della luce che proviene da Dio, anche il corpo umano conserva il suo splendore e la sua dignità”, e per questo il nudo non è né osceno, né offensivo, ma umano e divino al contempo. Omnia munda mundis, diceva Fra Cristoforo.

Ancora due parole di tributo all’astuzia di Michelangelo, che ha celato non solo messaggi eccelsi d’amore, armonia, unione e fratellanza, ma anche potenti gesti di scherno rivolti ai suoi committenti. Mica solo i rapper moderni fanno dissing… Fin troppo facile farlo nel 2024. Provate a farlo nel Rinascimento, mentre siete ospiti/carcerati di un papa egotico e antisemita e gli state letteralmente disseminando la chiesa di messaggi filogiudaici e “porno soft omosessuale”! Come se tutto ciò già non bastasse, ecco che alle spalle di Zaccaria scorgiamo due puttini.

Guardate bene come sono disposte le dita della mano del biondino. Ora osservate le mani di quest’altro angioletto nel pannello della Sibilla Cumana. I casti e puri autori definiscono questo gesto “fare i fichi” e lo paragonano all’odierno “dito medio”... ma i dantisti ricorderanno un certo verso del XXV canto dell’Inferno:

“Al fin delle sue parole il ladro 
le mani alzò con amendue le fiche”

Michelangelo amava Dante, che aveva scoperto relativamente tardi, ma che aveva assimilato prestissimo (sia dal punto di vista del linguaggio che in relazione ai concetti esoterici) e perciò non è senza importanza che il gesto descritto dal Sommo Poeta venga immortalato dall’artista non una, ma due volte, come “amedue” sono le mani che il personaggio del canto summenzionato leva a Dio...

Ma la maestria di Michelangelo non finisce qui. Troviamo infatti nel duplice gesto un magnifico climax: infatti qui non è un ladro che leva il gesto verso l’alto, bensì due puttini che indirizzano il gesto verso il basso, venti metri più in basso, dove l’ignaro papa Giulio II crede di vedere se stesso glorificato nel personaggio del profeta Zaccaria, che Michelangelo ha dipinto col suo volto, mentre l’immagine allude al fatto che se la Chiesa non abbandonerà il culto dell’oro e del lapislazzulo (le due materie prime di base che dovevano servire per formare i due colori dello stemma papale, l’oro e il blu) accadrà ad essa lo stesso che è accaduto al disperso popolo ebraico. E mi pare che con Bergoglio la Chiesa stia correndo incontro al suo destino a passi da Nefilim!

Non a caso l’altro puttino si affaccia sfacciato dal pannello della sdegnosa sibilla cumana, che ammonisce il superbo Tarquinio e si fa pagare i libri sibillini quattro volte più del prezzo originario donandogliene però solo un terzo, in quanto gli altri due terzi sono andati distrutti nel fuoco della superbia del re.

                                                                                       * * *

All’inizio di questa nota di lettura abbiamo alluso a certo un ponte arcobaleno, che è quello che Michelangelo ha voluto gettare tra la fede antica e la fede moderna. Il mondo in cui viveva, infatti, era dilaniato non solo dalle divisioni tra le tre grandi fedi veterotestamentarie, ma ormai anche all’interno dello stesso cristianesimo c’erano dissidi a non finire.

Lui che viveva all’insegna della Bellezza e alla ricerca dell’Amore, alla fine della sua esistenza fu letteralmente graziato dall’incontro con un certo “Cavalier” che ha tinto materialmente di azzurro cielo i suoi ultimi anni. E dal ceruleo sfondo del Giudizio Universale, ricavato dalla costosissima polvere di lapislazzuli (che questa volta non doveva pagare lui, ma era stata inclusa nel contratto e quindi poteva usarne e abusarne), la scena trascolora in uno smagliante verde smeraldo, che si eleva fino all’oro di un altro ponte, quello che conclude la Fiaba di Goethe, già citata più volte in questo blog.

La mercuriale serpe verde fa sacrificio di sé affinché gli altri possano salvarsi: Essa dissolve il proprio individualismo di “serpente” per dedicarsi al servizio altruistico e trasmutarsi in “ponte” e favorire così l’unione del passato col futuro, del maschile col femminile, del materiale con lo spirituale, dell’umano col divino.

Giacché Dio è nei dettagli, e solo nella caduta troviamo l'ascesa.
Proverbio cabalistico.

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