“Tutti i poeti scrivono cattiva poesia. I cattivi
poeti la pubblicano, i buoni poeti la buttano nel cestino”; questa affermazione di Umberto Eco ha rievocato nella mia memoria una scena del
film Mona
Lisa Smile, del 2003: dopo una disastrosa prima lezione, durante la
quale la professoressa Katherine Ann Watson viene surclassata dalla
sue allieve, la docente torna in aula con una provocatoria riflessione sull’arte
moderna, non inclusa nel programma di studi. Alle alunne vengono mostrati vari
“contributi visivi” - come si direbbe oggi - che infastidiscono le più
irreggimentate e stimolano quelle di mente più aperta; tra le varie diapositive
compare anche la Carcassa di manzo di Chaim Soutine, che tra l’altro
compie un secolo proprio quest’anno e che scatena la discussione su cosa sia
l’arte, cosa la renda buona o cattiva e chi lo
decida.
Betty Warren, la “prima della classe”, risponde che
«l’arte non è arte finché qualcuno non la dichiara tale».
«Chi?» chiede la docente.
«Le persone giuste» risponde Betty senza
batter ciglio, ma anche senza saper definire meglio il concetto.
Talvolta tali persone compongono le giurie dei
concorsi letterari, e distribuiscono premi e menzioni d’onore a loro gusto, e
ciò decreta l’“artisticità” di un’opera. E forse è questo che mi ha persuasa a
pubblicare alcune delle mie “opere”: il fatto che qualcuno “del mestiere” le
abbia premiate, riconoscendo loro un posticino alle falde dell’Elicona.
E a proposito di “loci poetici”, il poeta contemporaneo Miguel Angel Arcas ha affermato
che “solo
i poeti ritornano nel luogo dove non hanno mai vissuto”: per me le mie poesie
sono anche questo: l’Altrove dove talvolta scelgo di andare e dove talvolta
sono invece convocata da un suono, da un ricordo, da un profumo, e allora il
viaggio è davvero "Ultrasonico e transluminale!
D’altronde, Jean Cocteau ha svelato che “il poeta non inventa: ascolta”, e
forse è per questo che Jorge Louis Borges scrisse che “ogni poesia è
misteriosa: nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere”. Anch’io
spesso ho “sentito” la poesia nel momento stesso in cui la scrivevo, è per
questo che forse non mi sono mai considerata una poetessa, benché qualcuno mi
consideri tale …
Mi torna in mente la scena di un altro film di ambientazione
simile ma speculare a quella di Mona
Lista Smile, L’attimo fuggente: anche qui siamo in un college, maschile stavolta, e anche qui c’è un professore
sovversivo, che durante la prima lezione chiede agli studenti di strappar via
le pagine introduttive di J. Evans Pritchard, dal titolo “Comprendere la poesia”, in una sorta
di rivisitazione in chiave moderna del motto alchemico “rumpite libros ne corda
vostra rumpantur”, ossia rompete i libri, affinché non si
rompano i vostri cuori...
Il professor Keating spiega ai ragazzi che la Poesia
non è misurabile in larghezza e lunghezza, perché essa è cuore e sentimento;
eppure Giacomo Leopardi nello Zibaldone di pensieri, compilato dal
1817 al 1832, ed Edgar Allan Poe ne La filosofia della composizione,
pubblicata nel 1846, asseriscono proprio l’opposto: che tutto è meditato - il
tema, il metro, il verso, la sonorità delle parole – tutto è soppesato.
La prima volta che m’imbattei in questi concetti
rimasi inorridita, tanto era radicata in me l’idea “romantica” del poeta
creatore ispirato dalla Musa; col tempo ho capito che il Poeta di Poe e
Leopardi, per non parlare di Dante, è ispirato dal Genio, una sorta di Divino
Geometra che misurando la Poesia crea il mondo.
Nel mio piccolissimo, anch’io ho meditato le poesie e
talvolta le ho rivisitate proprio in occasione dei concorsi letterari:
“sistemare” testi composti a volte anche tre decenni prima mi ha permesso di
trovare un senso di continuità e completamento in una vita molto variopinta, e
mi ha anche fatto scoprire che queste poesie si sono create una vita propria,
sono state pubblicate in varie antologie e presto (editorialmente parlando, quindi
tra molte lune) appariranno, insieme ad altre finora inedite, in un volume
mono-autoriale che parrebbe confermare l’idea di Nieztsche secondo la quale “i poeti non
hanno pudore per le proprie esperienze intime,
che anzi sfruttano”. Io di pudore ne ho sempre avuto molto, infatti mi
si vede molto poco, ma ogni tanto bisogna vincerlo, o almeno sfidarlo.
Buona lettura