Uno sconosciuto ha visto in me qualcosa che l’ha colpito al punto da spingerlo ad affidarmi la sua anima. È il contratto che abbiamo stipulato: anima per anima. A quel punto della vira, un incontro a metà strada non basta più, il vero incontro avverrà solo se ciascuno di noi compirà tutto il cammino verso l’altro. Credo di non aver mai percorso un tragitto così lungo, ma la tua voce illuminerà il mio cammino, così come il mio canto guiderà i tuoi passi.
“Pianto?” hai chiesto. Non più: ora il pianto si schiarisce in un canto. L’angoscia che tutto quello che c’è di buono in me non sarà mai dato a nessuno, e che nessuno lo vorrà mai, è svanita, e ogni volta il cuore sussulta sentendoti pronunciare il mio nome.
Forse nemmeno tu capisci cosa sia ad emozionarmi
tanto, ma la tua lettera, piena di calore e di luce – soprattutto il
postscriptum finale, solo una riga - mi è sembrata come un passaggio dall’ombra
alla luce. Come se tu mi avessi teso una mano, facendomi superare il confine
oltre il quale si trova la luce. Gentilmente, come se fosse del tutto naturale
con un estraneo.
Spesso penso che in me non ci sia neanche una molecola
d’innocenza, e ciononostante mi rivolgo a te con candore. Da quando ho iniziato
a scriverti le parole sono sgorgate da una fonte nuova, come se un seme fosse
stato tenuto in serbo per un’annata particolare.
Ti chiedo solo di non lasciarmi la mano fino a quando ci
colmeremo dell’intensa emozione della nudità. Non fraintendermi, non parlo di
una nudità erotica, ma della nudità dei pensieri, come quella delle tue parole nelle
lettere. Quanto più sei distante fisicamente, tanto più riesci a svelarti.
Lo so, non c’era bisogno di spiegarlo, che questo tuo
“vero io” non ha nulla a che vedere con me, è qualcosa di completamente tuo. Ma
io leggo anche quello che hai aggiunto sotto, con una strana grafia: a volte
provi un brivido scoprendo come un estraneo riesca a notare, con un solo
sguardo, questa tua essenza e, senza conoscerti, a chiamarla col suo vero nome.
Magari smetterò di vivere nel mondo, nella cosiddetta
vita, per limitarmi a scrivere, a descrivere te in ogni situazione e a
raccontare come mi sento mentre ti guardo, perché tra poco finirà questo dialogo
tra noi, quando moriremo l’uno per l’altra, anche se tu non ne vuoi sentir
parlare. Ad ogni lettera ti crei di nuovo e quasi dal nulla in me. Da dove rubi
la sostanza in cui ti materializzi nella stanza ogni volta? Noi non siamo vivi
in questo mondo, ne abbiamo parlato, ricordi? Ma è vivo tutto ciò che abbiamo
scritto.
Così a volta parlo a me stessa col tuo timbro, la tua
voce scritta, e una punta di tristezza nel fondo. Come hai scritto tempo fa, “esistono
tra noi incredibili tratti di somiglianza. A volte li scorgo nelle lettere,
sono come dei cavi elettrici, carichi di tensione e di pericolo”.
La somiglianza tra noi è forse soprattutto in ciò che tu
definisci “i torbidi meandri dell’anima”. Per questo non posso fare a meno di
continuare ad avvicinarmi a chi mi rimanda l’eco delle cose che meno amo in me
stessa. Mi avvicino a te fino a lambire i tuoi pensieri, per poi scoprire che
sono come sassi nelle acque della mia mente, e ciò che tu esprimi o celi
modifica il mio intero bios. Te ne eri accorto?
* * *
Questo è l’altrove che ho rincorso per tutta la vita. È
qui. Era sempre stato qui. Lo dovevo capire sperimentandolo, che l’Altrove si
sovrappone all’Ovunque, e forse questo è uno dei tanti significati nascosti di
Alfa e Omega: il viaggio si concluderà dov’era iniziato.
Altrove & Ovunque.

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