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Luz - dalle leggende ebraiche alle fiabe tedesche, passando per alberi cavi, ossa sacre e letture profane

Nel romanzo di David Grossman Che tu sia per me il coltello (titolo originale, come al solito più incisivo, Be my Knife), di cui presto pubblicherò una rivisitazione creativa, l’autore accenna al misterioso luz, il secretum secretorum, le cui origini la cultura ebraica e cristiana fanno risalire al Talmud, e prima ancora alla Bibbia. Leggendo le sue annotazioni son scaturite in me molte riflessioni e suggestioni, che riporto di seguito, frammiste alle informazioni fornite dall’autore, in un’unione d’intenti che trova spiegazione proprio nel significato vero del luz (che come si vedrà in seguito non può essere trattenuto, ma va donato e custodito). 

Dunque, secondo il rabbino Ushaia, vissuto nel III secolo d.C., il luz sarebbe un ossicino dalle proprietà divine; per esempio, il rabbino Hananiaa aveva dimostrato all’imperatore Adriano che, per quanto si tentasse di distruggerlo o incenerirlo, l’oggetto restava immutato e uguale a se stesso, in quanto esso è la sede dell’anima immortale, nonché il mistico contenitore tetraedrico dell’essenza delle vite di ogni essere umano.

Ma come per tutte le cose ebraiche, anche in questo caso le radici vanno cercate fuori dalla Terra Santa: in Egitto, e in India. Infatti il concetto del pilastro immortale appare per la prima volta proprio nella storia della ricomposizione del corpo smembrato di Osiride da parte di Iside, sua sorella e sposa, la quale, non trovando il fallo divino, lo sostituisce con un obelisco, e riesce a resuscitare Osiride solo dopo aver ritrovato il suo luz.

(Per inciso, appunta Grossman, il miracolo di Lazzaro pare non sia altro che una variazione sul tema, e bravo Gesù, che d’altra parte aveva studiato in Egitto).

Questo luz sarebbe dunque un ossicino triangolare posto tra la terza vertebra lombare e il coccige. Il termine deriva dall’aramaico ed è passato in ebraico e in arabo mantenendo lo stesso doppio significato di “mandorlo” sia come albero sia come frutto, e di “nocciolo duro che permette alla pianta di rinascere”.

Ancora una volta, non può certo essere un caso il fatto che Cristo, donatore d’immortalità, appaia spesso nella sagoma di una mandorla, identificata anche come vescica piscis, lui, che incarna la missione pescina dei salvatori del mondo e che viene proprio all’inizio dell’era dei Pesci. Ma non divaghiamo.

Questo luz ricorre molte volte in Genesi ed Esodo, associato alla città omonima, la quale poi verrà ribattezzata da Giacobbe El Betel, la Casa di Dio, in seguito al famoso sogno della Scala ch’egli ebbe presso quella città. Come nella più classica delle alchemiche fiabe grimmiane, alla città di Luz si poteva accedere solo traverso un albero cavo. Nel Medioevo cristiano l’albero diventerà una quercia in Germania e un noce (di Benevento) in Italia.

All’epoca dei fatti narrati si parlava ancora di mandorlo e nocciolo. (E d’altra parte un ramo di mandorlo compare anche nella fiaba Die Mandel, La Mandorla, e in alcune versioni di Cenerentola la ragazza viene vestita di un abito del colore della Luna, del Sole e delle Stelle non già dalla fata Smemorina, che nella versione originale non esiste, ma da un albero di nocciolo che la fanciulla ha piantato sulla tomba della madre e che le regala vestiti nuovi ogni volta che lei ne scuote i rami). Ma torniamo a Luz.

La città era celata oltre/sotto l’albero, e l’Angelo della Morte non poteva accedervi. Perciò gli abitanti immortali che si fossero annoiati di vivere si sarebbero dovuti recare da questa parte dell’albero e là sarebbero stati “visitati dall’angelo”. Ciò mi ricorda il mito di Er, nel quale il soldato beve al Lete per dimenticare la scelta delle vite future, ma anche la visitatio Mariae.

Essendo la residenza degli esseri immortali, per metonimia, o sineddoche, la stessa città di Luz diventa scrigno e simbolo d’immortalità, e perciò deve restare celata e nascosta, così come indica la radice aramaica del termine, che parla di un qualcosa rinserrato in un nocciolo protettivo.

Facciamo ancora un passo indietro. Luz è un osso alla base dell’osso sacro, è qualcosa di celato e nascosto, è un mandorlo e il nocciolo stesso dell’immortalità, è la città delle anime eterne ed è il luogo davanti al quale Giacobbe sogna la Scala lungo la quale gli Angeli del Signore vanno e vengono.

Angeli, ossia messaggeri. Vettori. Vettori energetici. Energie. Ma gli angeli che salgono e scendono non sono altro che i simboli vettoriali di Ida e Pingala, e la Scala è la rappresentazione dei chakra che da Yesod - Muladhara arriva fino a KeterSahashrara. Infatti il Luz è il basamento, proprio come il chakra rosso, e dopo che Giacobbe viene ferito, azzoppato nella lotta con l’angelo, la città di Luz cambia nome, e viene chiamata El Betel, la Casa di Dio, proprio come Sahashara diventa la sede della divinità, una volta che le energie serpentine (non poteva mancare un edenico serpente, anzi, una kundalinica serpentina) hanno risvegliato e acceso i centri.

E infatti luz è anche il termine con cui i saggi kabbalisti designano la scintilla divina intrappolata nell’osso sacro, che lentamente si dis-avviluppa (o sviluppa) lungo la spina dorsale, o Scala di Giacobbe, fino in cima. E una volta giunta lì l’iniziato diventa “sacerdote secondo la maniera di Melkizedek”, il Re-Sacerdote di Giustizia e di Pace.

Kundalini resta appesa alla corona dell’Albero Sephirotico, così come l’alchemico serpente resta cristianamente crocifisso alla croce, e così come la goethiana serpe verde sceglie volontariamente di trasformarsi prima in cerchio e poi in ponte-arcobaleno per poter traghettare le anime dall’altra parte: anche lei è una scala, a suo modo.

Il luz protegge il mistero dell’immagine e della somiglianza dell’Uomo con Dio. Ma certamente il sincero cercatore troverà oltre il Guardiano della Soglia, la sua verità. Il peregrinaggio iniziatico deve infatti principiare dalla base, Muladhara, Yesod, il Fondamento, Luz. E deve compiersi in Keter, la Corona, Sahashrara, El Betel.

E qui scopriamo che il viaggio finisce laddove era iniziato, allora la Scala non è più tale: è diventata un eterno Uroboro. Il cercatore è al cospetto di Dio, ossia della propria Anima Immortale. E Grossman romanticamente afferma che solo dopo aver rinunciato a trovare il luz in sé ha scoperto che questo sta al di fuori, nascosto e custodito amorevolmente da qualcun altro: chi, egoisticamente, cela il proprio luz muore a se stesso e agli altri; solo chi lo perde o lo dona lo riceve e lo ritrova.

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Borges diceva che libri si parlano, per cui non mi sono stupita (però mi sono molto rallegrata) quando la domanda latente nella lettura di Grossman del 2015 ha trovato risposta manifesta nel volume Le Meraviglie della Natura di Elémire Zolla, che ho riletto nel 2021. Il grande ermetista italiano spiega infatti che

“la pietra d’altare è il trono, il colle primordiale, il chiaro monte, la colonna e montagna cosmica. Spesso si scavava a coppa o a imbuto per deporvi le offerte o per ruotarvi i bastoni e trarne scintille – o si bucherella sì da comporre disegni di costellazioni celesti, dove si possono far colare liquidi divinatori o si può raccogliere l’umore dell’aria – secondo tradizioni finniche e germaniche.

Tali pietre si ritrovano anche nella tradizione ebraica, e prima che fossero destinate ad accogliere il sangue nel Tempio, erano semplici sassi sparsi nella campagna. La principale fu chiamata luz, che vuol dire anche “mandorlo”, l’albero mercuriale divinatorio, chiamato anche safed, che significa vigilia o vigilanza, e i cui bocci rosati sono simbolo d’immortalità e resurrezione nella bianca desolazione dell’inverno.

Giacobbe “sogna” la scala verso il cielo, mentre dorme con la testa poggiata sul luz e riceve la visione della gerarchia fra l’invisibile e il visibile.

A livello microcosmico tale pietra è il coccige, l’ossicino grande come un cece posto all’estremità dell’osso sacro, che nella tradizione indù simboleggia il trapasso dal mondo primordiale e invisibile al nostro, la radice dell’albero della vita o spina dorsale, sua pietra di fondamento.

Attorno al luz è attorto il serpente della conoscenza, che emerge dal mondo dei morti e dal sonno, creando il ritmo d’una invocazione vorticosa, crescente. Tale ritmo può staccarci dai nostri limiti, per cui diventiamo come un serpente attorcigliato che si erga con uno scatto.

Sia la pietra di Giacobbe che il sasso ombelicale di Delfi sono gemme da cui germina la conoscenza di Dio, pietre di fondamento di una celeste pietra di volta, sono occhi che si aprono sul tutto. Luz è anche la città di vita dove non si può morire. Una leggenda narra che vicino a Luz-Bethel c’è un mandorlo cavo, attraverso il quale si entra nella città sotterranea. […] Le leggende tedesche serbano memoria di questa distesa di simboli e di queste pietre oracolari e alchemiche. Una di queste storie narra che un fabbro, cercando un biancospino per cavarne il manico del suo martello, scovò un buco nella rupe, e calatosi dentro, si trovò tra giganti che facevano rotolare palle di ferro (quando tuona si dice infatti in tedesco che i giganti giocano a bocce). Il fabbro tornò su portandosi una di quelle palle, la arroventò e la percosse sull’incudine ed essa gli si tramutò in oro zecchino.

La pietra è il cielo e i giganti sono le forze primordiali. […] Ma la pietra sacra si apre solo a chi osservi il silenzio, a chi abbia l’animo innocente, al nato di domenica e a cui il sole abbia destinato la pace del cuore. Secondo la tradizione tedesca, per scovare lo spacco della pietra bisogna cogliere un fiore azzurro o purpureo, da infilare sul cappellino, o un ramo d’oro, o un ramo forcuto di nocciolo o di mandorlo (torna il mandorlo ebraico): una pianta aperitiva.

Tra i fiori che segnano il passaggio all’altra vita spicca la rosa, tanto che sub rosa significa: segreto di tomba, ma essendo un fiore filosofale, il suo rosso sanguigno cela un cuore aureo. […] Le pietre possono essere pani e parole di Dio. Per la Cabbala, la Pietra è la Sapienza o il primo uomo. Per la mistica ebraica, tutto converge nel luz”.

 ***

Concludiamo con una piccola suggestione linguista: in spagnolo luz significa luce e viene naturalmente dal latino lux, ma forse questa parola racchiude anche l’influenza dell’ebraico, largamente diffuso in Spagna nel passato.

Alla luce di questa possibile etimologia sfumata - e in un rapidissimo brainstorming - il luz rievoca anche il Lux di malanghiana memoria, ossia l’essere creatore delle religioni che è interessato a quella cosa che in ipnosi è stata definita “una matrice di punti di luce”: Anima.

Come spiega il conte vampiro a Mina nel film cult Dracula di Bram Stoker, “la fatina dell’assenzio vuole la vostra anima”, e la vuole perché evidentemente non ce l’ha; ma chi invece ha anima non deve temere, infatti non si può cedere ciò che si è.

“La Luz es el único lugar en el que descansa Dios”.

Riflessioni di David Grossman, Elémire Zolla e Stella Picarò

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